Decidere di separarsi anche dopo cinquant’anni di matrimonio è un diritto costituzionalmente garantito. E al coniuge che prende la decisione non può certamente essere addebitata alcuna colpa se ha maturato una condizione di disaffezione e distacco spirituale dall’altro, anche a causa delle continue umiliazioni e vessazioni subite.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2183 depositata il 31 gennaio.
Con la riforma del diritto di famiglia, risalente oramai a quasi quarant’anni fa, la separazione è stata svincolata dal presupposto della colpa: sufficiente è che la convivenza sia divenuta intollerabile e non più proseguibile.
Il diritto alla separazione si fonda su fatti che nella coscienza sociale e nella comune percezione rendano intollerabile la prosecuzione della vita coniugale: in sostanza vengono in rilievo anche le percezioni soggettive poiché la soglia di tollerabilità è evidentemente diversa da persona a persona e non può essere messo in discussione o criticato il limite individuale.
Se il coniuge ritiene che tale limite sia stato superato, ha pieno diritto di chiedere la separazione e nessuna colpa per tale decisione gli può essere imputata.
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