Il caso è quello di un ragazzo di diciotto anni, morto in un incidente stradale cagionato dal conducente di un altro veicolo.
Hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno da perdita parentale sia i genitori, che la compagna omosessuale della madre che i nonni paterni e materni.
La giurisprudenza di legittimità ha efficacemente descritto il danno da perdita del rapporto parentale come quel danno che va oltre il crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno, nel non poter fare ciò che per anni si faceva e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti familiari.
Tale danno può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici.
Il Tribunale di Reggio Emilia con la sentenza 2/3/2016 riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale non solo al padre ed alla madre ma anche alla compagna omosessuale di quest’ultima.
Alla luce di ormai consolidati principi giurisprudenziali deve ritenersi che il danno da lutto possa essere astrattamente richiesto da ogni soggetto legato da un saldo e duraturo rapporto affettivo con la cd. vittima primaria, con cui sia comunanza di vita ed affetti, verificando in concreto l’intensità e i caratteri della relazione esistente.
Quanto ai nonni, il risarcimento del danno da perdita parentale è stato riconosciuto in capo solo ad una dei quattro nonni, quella per la quale è stata provata un’assidua e costante frequentazione e ciò nonostante non ci fosse il requisito della convivenza, normalmente ritenuto presupposto necessario per qualificare il rapporto nonni – nipoti come giuridicamente qualificato e rilevante.