Anche il lavoro in nero incide sul diritto all’assegno

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La disponibilità di un lavoro in nero – nonostante l’apparente precarietà del vincolo con il datore di lavoro – va considerata come una reale capacità economica che può comportare la negazione dell’assegno di mantenimento o, in caso di divorzio, dell’assegno divorzile.

Anche uno stipendio da lavoro in nero contribuisce a incrementare le disponibilità reddituali della moglie. Non importa che non vengano versati i contributi previdenziali.

Se la donna è ancora giovane e ha effettive capacità di inserirsi nel mondo del lavoro, il mantenimento può essere negato poichè è il richiedente l’assegno che deve dimostrare di averne necessità. Necessità tutt’altro che scontata se le condizioni fisiche e di salute, nonché la pregressa formazione, consentono ancora un reimpiego nel mondo del lavoro.

Il giudice può comunque ricorrere “presunzioni” per valutare le effettive capacità del soggetto di inserirsi nel mondo del lavoro avendo presenti le reali condizioni del mercato, anche alla luce dell’età, del grado di istruzione e delle pregresse esperienze lavorative. La valutazione non deve essere astratta ma effettuata considerando ogni concreto fattore individuale e ambientale: conta soltanto se chi chiede il mantenimento possieda utilità o capacità suscettibili di valutazione economica, dunque l’attitudine a svolgere un’attività produttiva retribuita.

Trib. Catania, sent. n. 290/19  

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