quando gli insulti sono reiterati e continui nel tempo, ed hanno come vittima il coniuge o la persona comunque convivente, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia: è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, secondo cui la persona che insulta e offende il coniuge, ledendone l’integrità morale, risponde del reato di maltrattamenti (chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, o per l’esercizio di una professione, è punito con la reclusione da due a sei anni).
I maltrattamenti non sono integrati solo da violenza fisica (percosse, lesioni, ecc.), ma anche da soprusi psicologici o verbali. Ma soprattutto occorre l’abitualità della condotta illecita: non basta un solo insulto, una sola percossa oppure un’altra azione violenta per integrare il reato ma occorre che la condotta colpevole sia ripetuta nel tempo.
Anche gli insulti alla moglie costituiscono il reato di maltrattamenti, quando si ripetono e sono idonei a ledere l’onore e la dignità della vittima. Pertanto, ogni tipo di vessazione, se reiterata e prolungata, e sempre se sussistono i requisiti della convivenza, possono dar luogo al reato di maltrattamenti.
Cass. pen. sent. n. 54053/2018