Cedu condanna l’Italia per non garantire il diritto di visita del padre

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Italia condannata per violazione delle norme della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo per non aver posto in essere tutto quanto necessario al fine di garantire al padre di vedere il figlio.

 

Lo ha deciso la CEDU nel caso Bondavalli c. Italia con la sentenza  del 17 novembre 2015, in un caso in cui un padre italiano, separato dalla moglie psichiatra all’ASL, il cui figlio era stato affidato alla madre con la fissazione di appositi orari di visita, aveva notato delle piccole lesioni sul corpo del bambino, così denunciando l’ex per presunti maltrattamenti subiti dal minore. I servizi sociali locali intervenuti ritenevano tuttavia che fosse il comportamento paranoico di agitazione e stress del padre a mettere in pericolo la stabilità emotiva del bambino, poiché i maltrattamenti subiti da parte della mamma non erano stati provati. La perizia psicologica disposta nei confronti dell’uomo lo confermava, vietando ogni contatto tra padre e figlio.

 

L’uomo si difendeva sostenendo che sia gli interventi dei servizi sociali sia la perizia svolta risultavano parziali, poiché l’ex moglie lavorava nella stessa struttura amministrativa come psichiatra ed era stata collega del perito. A nulla poi erano valse le numerose perizia prodotte dal papà attestanti la mancanza di qualsivoglia problema psicologico, nonché le esplicita richiesta di un nuovo esame psicologico.

La Cedu ricorda che l’art. 8 della Convenzione obbliga al rispetto della vita familiare e privata dell’individuo, impedendo ogni ingerenza dell’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza non si renda necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

I servizi sociali non hanno adottato le misure idonee a instaurare una positiva relazione padre-figlio, schierandosi sempre dalla parte della moglie e violando così il diritto di visita paterno. Il Tribunale, dal canto suo, aveva omesso qualsiasi controllo sulla regolarità dell’operato dei servizi sociali.

Lo Stato, infatti, non ha solo un’obbligazione negativa (non ingerenza) ma anche un’obbligazione positiva di far effettivamente rispettare la vita privata e familiare dell’individuo attraverso idonee misure tese ad avvicinare i genitori con la prole: per essere adeguate, tali misure dovranno attuarsi rapidamente in quanto il trascorrere del tempo può irrimediabilmente compromettere le relazioni tra genitori e figli.

Siccome nel caso di specie risulta palese il conflitto di interessi causato dalla professione della moglie, che ha provocato interventi non imparziali delle strutture pubbliche, nel constatare questa situazione la giurisdizione italiana ha mancato di agire con la diligenza necessaria per evitare che all’uomo fosse concesso un diritto di visita molto limitato.

Lo Stato non ha profuso gli sforzi necessari e sufficienti affinché venisse garantito il diritto di visita del padre, non proteggendo adeguatamente il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita familiare. Pertanto è evidente una violazione dell’art. 8 della Convenzione e sarà incombenza delle autorità interne dello Stato riesaminare la richiesta del ricorrente, tenendo conto della situazione attuale del bambino e del suo interesse superiore.
da studiocataldi.it

 

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