Amministrazione di sostegno: l’equa indennità per l’amministratore

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L’incarico dell’amministratore di sostegno è essenzialmente gratuito. La gratuità è conforme allo spirito che anima la legge n. 6/2004, ossia dare una risposta adeguata alle esigenze di protezione dei soggetti deboli, avendo riguardo alla loro specifica fragilità. Affinché la risposta giunga tempestivamente, il legislatore ha delineato un procedimento particolarmente snello, agile e veloce; un procedimento i cui costi non devono gravare sul beneficiario.
Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 411 cod. civ. il quale, al primo comma, dispone che si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, numerosi articoli dettati in tema di interdizione, tra i quali l’art. 379, rubricato “ Gratuità della tutela” (e dunque, dell’ads): detta norma dispone, appunto, la gratuità dell’incarico, pur prevedendo la possibilità di riconoscere al tutore un’equa indennità.
Occorre dunque intendersi sul significato di “equa indennità”. Non si tratta, evidentemente, di un corrispettivo vero e proprio (nel senso sinallagmatico del termine), quanto, piuttosto, di una elargizione volta a compensare il patrimonio perduto, in termine di spesa e di tempo (sottratto ad altre attività), da parte dell’amministratore; una sorta di via di mezzo tra un compenso e un risarcimento, insomma.
Tale indennità deve essere “equa”, ossia non minima, ma giusta, e commisurata all’attività svolta dall’ads.
Il Giudice, chiamato a liquidarla, dovrà quindi appellarsi all’equità: vale a dire che la determinazione del quantum è discrezionale e rimessa al prudente apprezzamento del Giudice. Come compie il Giudice le proprie valutazioni ? Considerato che la legge sull’ads esalta la cura degli interessi della persona in difficoltà, al centro di ogni valutazione, anche relativa all’indennità, dovrebbero esserci le funzioni esercitate con riferimento alla cura della persona. Ma naturalmente non si può prescindere dal patrimonio.
In materia di indennità liquidabile al tutore, è intervenuta anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza 24/11/988 n. 1073, identificando due parametri che il Giudice dove considerare, ossia l’entità del patrimonio e le difficoltà della sua amministrazione.
Posto che, in ogni caso, l’indennità non potrà mai pregiudicare il beneficiario, e pertanto se questi abbia scarsa disponibilità economico patrimoniale, l’istanza per la liquidazione andrà respinta, nei casi in cui un patrimonio ci sia e sia sufficientemente capiente, il Giudice deve fare quindi una valutazione complessiva, quantificando l’indennità caso per caso, tenuto conto delle effettive attività svolte, ma anche dei risultati raggiunti dall’amministratore sia sotto il profilo dell’assistenza personale che della gestione patrimoniale.
Nel prendersi cura della persona del beneficiario, l’amministratore di sostegno svolge le mansioni più varie: si prende cura della sua salute, valuta le condizioni abitative e cerca soluzioni consone al rispetto della persona, oltre a svolgere adempimenti bancari, postali e fiscali: in generale cerca di migliorare la qualità della vita del soggetto debole.
Sotto il profilo “patrimoniale”, l’amministratore di sostegno diligente dovrebbe cercare non solo di preservare il patrimonio del beneficiario, ma anche, ove l’entità lo consenta, di intraprende forme di investimento e di accantonamento idonee a conservarlo, possibilmente incrementandolo.
E’ indubbio quindi che, ai fini della quantificazione dell’indennità, dovrebbe essere opportunamente valutato dal Giudice l’impegno generalmente profuso dall’amministratore, non ultimo anche in termini di partecipazione alla vita del beneficiario.
Il Giudice Tutelare potrebbe nominare quale ads anche un soggetto estraneo alla famiglia (ciò che accade allorquando nessun parente è presente o si rende disponibile, ma anche in caso di conflitti familiari): in questi casi, di solito, la scelta cade sui professionisti (soprattutto avvocati) che hanno prestato disponibilità in tal senso.
Ma, quand’anche la scelta ricada su un professionista, i compiti dell’ads restano gli stessi: la cura della persona in primo luogo, e del patrimonio in secondo. L’indennità quindi resta tale e quale, e dev’essere liquidata secondo identici principi a prescindere dalla qualifica professionale del soggetto chiamato a svolgere le funzioni di amministratore di sostegno.
Queste considerazioni portano al problema dell’inquadramento ai fini tributari dell’indennità, ossia se essa debba considerarsi reddito imponibile e quindi tassabile.
Sul punto è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 9/1/2012 n. 2/2012 affermando che “nell’ipotesi in cui il giudice tutelare scelga direttamente un avvocato quale amministratore di sostegno, si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque (…) un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 T.U.I.R. e rilevante ai fini IVA ai sensi degli artt. 3 e 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633”.
Orbene, a ben vedere, la natura non retributiva dell’indennità percepita dall’ads deriva dalla legge e prescinde dalla professione svolta dal soggetto incaricato.
L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate pare fondata su una errata visione della l. 4/2006 che, come anzidetto, predilige la cura della persona rispetto ai profili – e quindi alle attività di gestione – patrimoniali. L’indennità all’ads è infatti liquidata in virtù, specialmente, dell’assistenza personale e deve far sì che l’ads sia tenuto indenne dalle perdite (spese, disagi e distrazioni lavorative) patite.
Il responso dell’Agenzia delle Entrate è stato fortemente criticato: la stessa giurisprudenza di merito si è espressa in modo contrario censurando la risoluzione sotto molteplici profili.
Il Giudice Tutelare del Tribunale di Trieste, col decreto 26/1/2012 (emesso appena 20 giorni dopo la risoluzione) ha asserito che “un’indennità rimane tale e non perde la sua natura indifferentemente dal soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente, un avvocato o un imprenditore”. Nel caso di specie, il Giudice ha adottato una soluzione interessante, avendo differenziato tra gli importi dovuti per le attività svolte dall’avvocato istante a favore dell’amministrato e quelli per le attività più strettamente inerenti la sua qualifica professionale, e maggiorando solo quest’ultimi con Iva e Cpa.
Con un altro decreto, il Giudice Tutelare di Varese (20 marzo 2012 – Giudice Giuseppe Buffone), evidenziando che l’opinione dell’Agenzia delle Entrate non ha valore normativo e non può vincolare l’attività interpretativa del Giudice, ha aderito alla tesi della natura non retributiva ma indennitaria, appunto, della somma liquidata dal Giudice, la quale va intesa come “’ rimborso delle spese sostenute e dei mancati guadagni del tutore/amministratore che non ha avuto la possibilità di occuparsi pienamente della cura dei propri interessi”. Il Giudice prosegue individuando, in capo alla generale figura del GT, un dovere di “liquidazione <> in ragione delle effettive attività poste in essere e, anche, dei successi e risultati raggiunti dall’amministratore”.
Le considerazioni sopra riportate sono pienamente condivisibili: è impensabile un trattamento diversificato a seconda della qualità soggettiva dell’amministratore di sostegno, tale per cui un professionista sia obbligato ad emettere fattura mentre un parente/estraneo non professionista sia assolto da tale incombente.
A entrambe le figure spetta un’indennità pura da tassazioni, identiche essendo le funzioni svolte dal soggetto chiamato ad assolvere il compito di amministratore di sostegno.
Peraltro, il professionista che accetta l’incarico svolgerà il ruolo di amministratore di sostegno accanto alle normali attività che rientrano nella sua professione; mediamente, il tempo che occorre dedicare all’ads incide significativamente su quello disponibile, traducendosi in minor tempo da dedicare alla professione, normalmente retribuita. Quindi, imporre la tassazione sul compenso liquidato dal Giudice elide quel minimo di gratificazione cui l’amministratore di sostegno professionista avrebbe diritto, quantomeno in termini di rimborso delle spese.

In concreto, quali possono essere le soluzioni per la quantificazione e la liquidazione dell’equa indennità all’ads professionista?
L’indennità dovrebbe essere liquidata a fronte di un’istanza ex 411 e 379 c.c. rivolta al Giudice Tutelare; ritengo che non si dovrebbe mai quantificare la richiesta di indennità in termini economici, dovendo essere ogni valutazione lasciata al Giudice Tutelare.
Certamente, in ogni caso, non si potrebbe far riferimento alle tariffe professionali perché ciò implicitamente richiama l’idea del compenso per una prestazione professionale resa.
Ciò posto, l’importo liquidato dovrebbe essere esente da IVA e altre competenze; la quantificazione dovrebbe essere fatta considerando l’entità del patrimonio del beneficiario e le difficoltà dell’amministrazione, ma sempre avendo riguardo anche all’impegno profuso dall’amministratore nella cura della persona; allorquando l’ads professionista svolga per il beneficiario un’attività strettamente inerente la sua qualifica professionale (ad esempio l’avvocato promuove un procedimento di sfratto nell’interesse del beneficiario) essa potrebbe essere fatturata normalmente (a “tariffa” agevolata) e la spesa relativa potrebbe essere inserita nel rendiconto da presentare al Giudice; l’attività più strettamente di cura ed assistenza personale andrebbe ricompensata con un’indennità a parte che tenga conto delle perdite subite dall’amministratore.
Di fatto ciascun Ufficio giudiziario adotta propri criteri, identificando limiti di consistenza patrimoniale al di sotto dei quali non viene liquidata alcuna indennità: sarebbe utile che, in ogni caso, i Tribunali adottassero dei veri e propri protocolli per la liquidazione dell’indennità e li rendessero noti.
Ad aver provveduto in tale senso è il Tribunale di Varese, che liquida le indennità secondo calcoli percentuali, partendo dal patrimonio del soggetto debole e incrementando il risultato in ragione della “difficoltà dell’amministrazione”. All’importo così ottenuto vengono aggiunte le spese documentate.
In conclusione, posto che mai l’attività dell’amministrazione di sostegno potrebbe essere remunerata con un vero e proprio corrispettivo, poiché ciò contrasterebbe con la ratio sottesa all’istituto dell’ads, sarebbe auspicabile l’adozione di una prassi comune da parte di tutti gli Uffici Giudiziari. Per l’amministratore di sostegno professionista che accetta l’incarico è importante anche avere un parametro certo: l’attività dell’ads è complicata, riguarda tutti i profili della vita del beneficiario, porta via molto tempo alla professione. Il riconoscimento di un’indennità è gratificante, lo è molto meno non vedersi riconosciuto nulla o assai meno di quanto ci si aspetta in considerazione dell’impegno profuso, specie quando il soggetto amministrato non è sprovvisto di risorse patrimoniali.

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