Secondo la Corte Costituzionale, intervenuta ieri sul tema del doppio cognome, il divieto di apporre anche il cognome materno è il «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» .
A proporre nuovamente la questione di costituzionalità è stata la Corte di appello di Genova nell’ambito di una causa promossa da una coppia dopo il diniego dell’ufficiale di stato civile di apporre al loro figlio, nato nel 2012, anche il cognome della mamma. L’obbligo del cognome paterno è desumibile indirettamente dal Codice civile (in materia di figli nati fuori dal matrimonio), da un regio decreto del 1939 e da un decreto del presidente della Repubblica del 2000, che determinano l’attribuzione automatica del cognome paterno. La Corte europea dei diritti dell’uomo nel gennaio 2014 aveva definito «discriminatoria» la «visione patriarcale della famiglia» riflessa dalla esclusività del cognome paterno. A seguito di quella sentenza il legislatore aveva presentato alla Camera il Testo unico della famiglia, che prevedeva anche il doppio cognome (o meglio, la possibilità di scegliere alternativamente o entrambi i cognomi dei genitori). La legge, tuttavia, si è poi arenata in Senato. Adesso la Consulta è intervenuta dichiarando incostituzionale il divieto di apporre il doppio cognome. La dichiarazione di incostituzionalità legata – a quanto si deduce dalla trattazione – alla violazione degli articoli 2 (diritto all’identità personale), 3 (diritto di uguaglianza e pari dignità sociale dei genitori nei confronti dei figli), 29 (diritto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi), e anche dell’articolo 117 della Costituzione in relazione a principi contenuti in convenzioni e risoluzioni internazionali – su tutte quella del 1979 dell’Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne.
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