Figlio naturale è quello nato al di fuori del matrimonio.
La Costituzione(art. 30) e il codice civile equiparano i figli naturali a quelli legittimi (ovvero nati da genitori coniugati); [1]
L’art. 30 Cost. prevede il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Stabilisce, altresì, che la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Il riconoscimento, ai sensi dell’art. 261 c.c., comporta per il genitore che lo compie l’assunzione di tutti i doveri e i diritti che ha nei confronti dei figli legittimi.
Si tratta di una delle più significative espressioni di cui all’art. 30 Cost., in ordine alla responsabilità dei genitori verso i figli per il fatto stesso della procreazione
Il contenuto della potestà è identico: i doveri che, ex art. 261, competono al genitore naturale, consistono in particolare nell’obbligo di mantenimento, educazione ed istruzione del figlio. Il richiamo è anche all’art. 147 c.c. dettato in materia di filiazione legittima: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.
In materia di esercizio della potestà genitoriale, la norma di riferimento è l’art. 317 bis cod. civ, la quale prevede che se i genitori vivono insieme, esercitano congiuntamente la potestà sul figlio, altrimenti questa spetta al genitore con il quale il figlio vive. Se il figlio non vive con nessuno dei genitori, la potestà viene esercitata dal genitore che lo ha riconosciuto per primo.[2] Essa trova applicazione sia nel caso in cui il genitore abbia riconosciuto il figlio naturale, sia in quello in cui il rapporto sia sorto in base ad accertamento giudiziale.
La legge sull’affidamento condiviso innova profondamente l’esercizio della potestà genitoriale.
Prima della riforma vigeva il solo art. 317 bis, che non attribuiva al genitore non affidatario il potere di rivolgersi al Giudice qualora ritenesse fossero state assunte delle decisioni pregiudizievoli nei riguardi della prole, né gli attribuiva il potere di prendere parte alle decisioni di maggiore importanza che quindi restavano ad appannaggio esclusivo del genitore affidatario.
L’art. 4 della legge n.54/2006 pone fine alla disparità di trattamento quanto meno nell’ipotesi in cui tra i genitori vi sia contrasto sull’affidamento. Infatti è necessario sottolineare che detta legge non prevede uno statuto generale della famiglia di fatto, essendo la sua portata limitata ai casi in cui i genitori naturali si rivolgono al Giudice per risolvere una situazione di profonda crisi familiare, instando per la regolamentazione dell’affidamento e delle responsabilità genitoriali
Al di la di codesta evenienza, resta l’art. 317 bis, che viene integrato dalla l. 54/2006. Precisamente si applica l’art. 317 bis nei casi non disciplinati dalla L. 54: solo un genitore ha effettuato il riconoscimento, la famiglia di fatto resta unita, oppure decide di non far ricorso all’autorità giudiziaria per risolvere la questione dell’affidamento dei figli.
L’attuale disciplina in materia di filiazione naturale prevede che, in base alla previsione di cui all’art. 317 bis c.c., se i genitori, ancorchè non conviventi, collaborano e individuano condivise modalità di gestione della potestà genitoriale anche riguardo alle frequentazioni o presenze del genitore non esercente, l’ordinamento non deve intervenire.
Il Giudice è chiamato su istanza di uno dei genitori e, nell’interesse del figlio, può adottare provvedimenti che derogano al sistema di distribuzione della potestà genitoriale come previsto dall’art. 317 bis. In base alla riforma dell’art. 155, la regola anche per i figli naturali in caso di cessazione della convivenza tra i genitori è quella dell’affidamento condiviso e, solo in presenza di gravi motivi, l’affidamento esclusivo a uno dei genitori.
Se la comunione abitativa persiste, i conviventi per risolvere il loro contrasti potranno solo far ricorso all’art. 316 c.c.
Sotto il profilo processuale, la competenza in materia di affidamento dei figli naturali e delle decisioni sul loro mantenimento spetta al Tribunale per i Minorenni solo se le due questioni vengano poste al Giudice contemporaneamente; quando la controversia riguarda unicamente diritti patrimoniali (mantenimento di minori), in assenza di una contestualità con la domanda di affidamento, non si verifica alcuna attrazione in capo al giudice specializzato per i minorenni e la competenza è del tribunale ordinario.
In realtà, nella prassi, l’attribuzione delle competenze economiche al TM non si è rivelata utile, poiché il TM non ha le competenze tecniche necessarie e non viene svolta un’indagine istruttoria adeguata sulle capacità economiche dei genitori.
[1] sono state mantenute solo alcune limitazioni per evitare che la tutela di alcuni interessi dei figli naturali possa creare gravi conflitti all’interno della famiglia legittima: per esempio, la famiglia legittima ha il diritto di rifiutare di convivere con il figlio naturale di uno dei coniugi. Inoltre, sul piano delle successioni mortis causa: i figli legittimi possono infatti soddisfare in denaro o beni la quota ereditaria spettante ai figli naturali che non vi si oppongono. Tale facoltà, denominata commutativa o di commutazione, è prevista dall’art 537 c.c.
Ulteriore differenza riguarda la parentela: La situazione dei figli nati fuori del matrimonio si diversifica da quella dei figli legittimi anche per un altro aspetto: non hanno rapporti ‘giuridici’ con i parenti del loro genitore a eccezione degli ascendenti, cioè nonni e bisnonni. Ciò significa, ad esempio, che non acquisiscono legalmente ‘zii’ o ‘cugini’. Sul piano successorio, quindi, non acquisisce nessun diritto nei confronti dei parenti del genitore, tranne che verso gli ascendenti diretti
[2] La norma dispone che, in caso di filiazione naturale, la potestà spetta ad entrambi i genitori se conviventi, a quello con cui si trovi il figlio, se conviva con uno solo di essi, e, se non si versi neppure in questa ipotesi, al genitore che per primo lo abbia riconosciuto. Con riferimento a quest’ultimo caso, si darà preferenza dunque al genitore che abbia per primo soddisfatto il dovere morale di riconoscere il figlio naturale. Nel caso in cui il rapporto di filiazione sia invece emerso in base ad un accertamento giudiziale, la norma non fornisce alcuna soluzione. Verranno in gioco gli ampi poteri del giudice, che sceglierà il genitore più idoneo o escluderà entrambi.
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