Nell’esaminare la domanda di assegno occorre che il giudice deve verifichi se e in che misura l’esigenza di riequilibrio non sia già coperta dal regime patrimoniale prescelto, giacchè, se i coniugi abbiano optato per la comunione, ciò potrà aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge richiedente, tale da escludere o ridurre la detta esigenza. Questa affermazione è coerente con il più recente orientamento di legittimità che ha valorizzato nell’assegno divorzile, oltre alla funzione assistenziale, anche la funzione perequativo – compensativo a tutela del coniuge più debole che abbia visto sacrificate le proprie aspettative professionali, quando abbia dato per una scelta concordata con l’altro coniuge, un decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge. In conseguenza della scelta del regime patrimoniale della comunione legale dei beni, l’autonomia riconosciuta al singolo coniuge nella libera destinazione dei redditi e dei frutti ricavati dei beni individuali trova un limite nel dovere di contribuzione tra i coniugi. Nel caso di specie, l’assegnazione alla moglie di un appartamento in proprietà esclusiva all’esito del giudizio di divisione, è astrattamente deducibile, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970
Cass. Civ., Sez. I, ord. 5 maggio 2021 n. 11787 – Pres. Genovese, Cons. Rel. Lamorgese |