Nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche, costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c. di così elevato valore indiziario da potere, da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda. Non occorre, peraltro, prova ulteriore, dal momento che in tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale l’ammissione degli accertamenti immuno-emotologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito dall’art. 269, secondo comma, c.c. non tollera limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione al giudice di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione e assunzione; piuttosto, tutti i mezzi di prova hanno pari valore per espressa disposizione di legge, risolvendosi, una diversa interpretazione, in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela dei diritti fondamentali attinenti allo status.
Trib. Reggio Emilia sent. 6/6/2025
https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17522058